Superato San Giovanni a Teduccio, la nostra prossima fermata è Barra.
Le vicende storiche di questo quartiere ricalcano quelle di San Giovanni a Teduccio, grazie anche alla stretta prossimità geografica: anch’esso, infatti, passa da luogo di dimora di ricchi romani alle prese con i loro festini lontano dal chiasso di Napoli a territorio abbandonato e paludoso, da successivo raggruppamento di chiese e casali per poi essere destinato ad ospitare, dagli inizi del Novecento, la futura area industirale di Napoli Est.
Tuttavia, una delle peculiarità di Barra è che questo resta uno degli luoghi in cui è possibile ancora trovare un’eredità concreta e attuale della religiosità popolare napoletana, incentrata su santi protettori, riti e tradizioni dalle origini molto antiche, nonostante il fatto che, oggigiorno, l’aspetto religioso abbia lasciato il passo a quello più squisitamente folkloristico.
Sicuramente, San Gennaro è una delle figure più importanti dell’immaginario napoletano, il santo protettore per antonomasia, al quale il popolo napoletano, nel suo complesso, è legato da un forte amore e da una venerazione viscerale. Ciò nonostante, egli non è l’unico tramite con l’aldilà al quale cercare grazie e conforto, anzi, ogni città (o quartiere, in questo caso) ha un suo personale santo protettore.
E l’immaginario religioso-folkloristico di Barra non è da meno, con la sua venerazione per Sant’Anna ma soprattutto per una festa molto particolare e sentita, la Festa dei Gigli, una delle feste più antiche della tradizione campana che, a Barra, si svolge ogni anno durante l’ultima domenica di settembre.[1]
La Festa dei Gigli è qualcosa di incredibile, da vedere e vivere assolutamente in prima persona perché le parole non possono pienamente descrivere il coinvolgimento che si respira nei veicoli dei vari rioni, la musica continua che riecheggia altissima tra le strade, la spensieratezza e la voglia di far festa.
E, soprattutto, lo spettacolo di queste costruzioni altissime e decorate vistosamente, i gigli, che ondeggiano e ballano sulle spalle di centinaia di cullatori a tal punto da farvi venire il mal di mare.
Immaginate: undici maestosti obelischi di legno, uno per ogni paranza, alti 25 metri e pesanti più di 20 tonnellate, sorretti da un esercito di cullatori,[2] che se ne vanno in giro per le strade del quartiere a ritmo di musica, immersi in un vero e proprio mare di persone e in un chiasso assordante, fatto di canti e dalle urla della gente che incita e sprona il proprio giglio dando forza agli alzatori, in una gara puramente simbolica ma che comunque offre vanto e ammirazione per il giglio più bello e più coinvolgente.
Tanti sono gli aspetti interessanti della ballata dei Gigli, dall’enorme partecipazione popolare all’incredibile sincronia dei movimenti dei cullatori sotto le direttive dei rispettivi caporali, dalla progettazione all’assemblaggio del giglio, per mezzo di associazioni in cui il sapere viene tramandato da padre in figlio.[3]
Inoltre, finalmente, dal 2016 si è deciso esplicitamente di stringere la corda contro le macroscopiche inflitrazioni camorristiche nell’organizzazione della Festa, dalle sponsorizzazioni dirette dei Clan a collette sospette, fino a canzoni dai filo-camorristiche e dedicate alle donne della camorra.[4]
Barra, infatti, rimane un quartiere difficile, dove è forte la presenza della camorra nella vita quotidiana e soprattutto nei momenti di aggregazione popolare in cui è facile proliferare, finendo con l’appropriarsi di una tradizione popolare allontanando chi, consapevole dell’oscura presenza, ha preferito tenersi al largo dai festeggimenti.
Tuttavia, il Comune di Napoli ha deciso di giocare un ruolo più attivo, sia sponsorizzando in prima persona l’evento, sia mobilitando un maggior numero di forze dell’ordine, tanto per il mantenimento dell’ordine pubblico quanto per una scrupolosa analisi degli organigrammi delle associazioni costruttrici dei gigli.
Intervento che d’ora in poi potrà giocare un ruolo fondamentale nel recupero e nella valorizzazione di tradizioni antiche ma con importanti capacità aggregative.
Il filo portante del nostro viaggio, per quanto emerso finora, è la ricerca del bello inteso come cura del territorio e della comunità, come presenza attiva volta a ridare senso e dignità laddove il sudiciume della violenza (industriale, ambientale, architettonica, fisica) e dell’illegalità hanno eroso i colori della realtà.
In questo senso, il lavoro da fare a Barra è ancora enorme.
Barra, infatti, nonostante le apparenze, racchiude in sé un patrimonio storico-architettonico ricchissimo: situata sull’antica via delle Calabrie, quest’area è tuttora la sede di ben 122 ville vesuviane settecentesche, gran parte delle quali realizzate dai più importanti architetti del tempo, come Sanfelice, Fuga e Vanvitelli.
In pratica, sono le ville del cosiddetto Miglio d’Oro napoletano, che da San Giovanni-Barra fino a Torre del Greco è costellato di splendide residenze nobiliari grazie alle quali l’aristocrazia napoletana poteva sentirsi più vicina al proprio sovrano nelle sortite di quest’ultimo alla reggia di Portici e agli scavi di Ercolano.
Purtroppo è un colpo allo stomaco vedere gran parte di esse travolte dall’incuria, come villa Letizia, villa Salvetti o villa Bisignano, maestosi mausolei di un passato di fasti lontani, ormai abbandonati nel silenzio.
Purtroppo, il recupero e il reintegro di questi lasciti del passato non può avvenire senza un convinto intervento pubblico, magari con un intervento ad ampio raggio che coinvolga anche tutti gli altri Comuni del Miglio d’Oro, o magari concedendo l’utilizzo dei locali per scopi associativi e culturali.
Tutto, in altri termini, è condizionato da cosa lo Stato, nelle varie forme di Comuni, Province e Regioni, ha intenzione di fare per salvaguardare la ricchezza materiale e immateriale di queste realtà. O meglio, da come lo Stato intende considerare se stesso, cioè se rapinatore e complice delle bande criminali o valorizzatore. E da come lo Stato intende pensare questi luoghi, cioè se semplici bacini di voti e promesse elettorali o futura locomotiva per l’intero Paese.
Ma se un attivo e mirato intervento pubblico può, in futuro, creare circoli virtuosi e connessioni positive all’interno della comunità, grazie al ripristino della legalità e alla cura (e successivo re-inserimento attivo) del patrimonio storico, dall’altro ci preme sottolineare che già vi sono alcuni esempi positivi che da tempo costituiscono un argine contro le insidie della strada e una cultura della sopraffazione, come la piscina dello Sporting Club Napoli Nuoto o l’associazione Il Tappeto di Iqbal.[5]
Esempi di come iniziative dal basso e basate su rapporti orizzontali riescano a creare reti di solidarietà e di capitale sociale, in grado di dare un valore aggiunto alla società.
Iniziative che attraverso lo sport, o attraverso il gioco, il teatro e l’arte, cercano di strappare i giovani alle sirene di una vita apparentemente facile ma basata sullo sfruttamento dei deboli e sull’ingiustizia, sulle scorciatoie e sulla violenza, sostituendo questi falsi valori con modelli educativi imperniati sull’importanza del sacrificio e del lavoro, sul rispetto delle regole e sullo stare insieme nel rispetto reciproco.
Sport e
cultura, un binomio che nelle nostre scuole è visto come un ossimoro quando in
realtà sono le chiavi più idonee per scardinare i cancelli di un sistema ormai
in disfacimento in cui, per esempio, forme altissime dell’esprissività umana,
quali il teatro, la poesia, l’arte e lo stesso piacere di sapere, vengono
sacrificate all’altare di un sapere sempre più pratico e settoriale.
[1] In realtà, la Festa dei Gigli è una festività tipica di Nola, ma importata in molti altri comuni campani come Brusciano, Casavatore, Crispano, Mariglianella e, naturalmente, Barra.
[2] Anche trecento per giglio, tra alzatori effettivi e riserve.
[3] Vedi: https://ifg.uniurb.it/viaggio-nella-festa-dei-gigli-di-barra-tra-storia-passioni-e-maestosi-obelischi/.
[4] https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/festa_barra_gigli_liberi_camorra-1986559.html
[5] Per maggiori informazioni, si veda: https://www.iltappetodiiqbal.com