Quando si parla di Napoli, e per estensione della sua intricata provincia, parte dell’immaginario collettivo tende ad associare quel nome, quel suono, ad un microcosmo caotico, vibrante, irrazionale, fatto di storia e cultura millenarie, odori e sapori che non hanno eguali e pieno di gente che fa ammuina con quella lingua musicale ed inconfondibile che è il napoletano.
Un’altra parte, diciamo gran parte del sistema mediatico italiano, tende ad associarla prima di tutto a sangue e camorra, spazzatura a cielo aperto e ad una presunta innata natura truffaldina, se non criminale, del napoletano, ora ladro creativo, ora lavoratore svogliato, ora “mandolinatore romantico” che campa di aria.
L’aria è buona e riempie, si sa.
La verità è che Napoli è luci e ombre, (neo)classicismo e barocco, acqua santa e solfatare, capitale decaduta, miseria e nobiltà. Poche altre città al mondo possono vantare un immaginario così sfumato, così denso di significati, immagini e di contraddizioni tali da non poter essere compresi pienamente solo con le parole.
Bisogna essere lì, in quelle strade, tra quella gente, in quel caos vitale e creativo: in altre parole, bisogna viaggiare.
E qui viene il bello: la Circumvesuviana, per gli amici solo “Vesuviana”: un serpente di freddo metallo come tanti, più o meno integro, più o meno (meno) pulito, più o meno (menomeno) in orario, più o meno (piùpiùpiù), grazie al quale il popolo napoletano, pendolari e turisti, al netto dei tagli di bilancio, può connettersi con il suo cuore e scoprire le bellezze dei propri luoghi.
Direte: è solo un treno. No, mai stati così lontani dalla verità.
La Verità è che prendere la Vesuviana è un modo di vivere, un’esperienza di vita formativa che nemmeno il giovane Holden ha affrontato. Quante corse a perdifiato perché il successivo sarebbe arrivato dopo 40 minuti (ciao Bolt!); quante discussioni amichevoli per mantenere un posto in piedi vicino all’uscita così duramente conquistato (altro che la diplomazia di Bismarck!e col caldo estivo sei pronto per arruolarti nella Legione straniera); quante spiegazioni ai turisti, ovviamente a gesti (cercano nuovi Chaplin?); quanti fuggi-fuggi alle prime avvisaglie di un controllore (benedetti sensi di ragno!).
E, soprattutto, quanti tipi strani! Al punto che a volte ho avuto l’impressione di trovarmi nella città vecchia cantatata da De André. O in Silent Hill, dipende dalla stazione (qualcuno ha urlato Via del Monte?).
Nei miei trascorsi di universitario-pendolare, per esempio, ricordo di un tizio che mi raccontava di avere il sangue speciale, credo con degli anticorpi particolari, e che fior di dottori lo stavano pagando per analizzarlo. A questo punto cercai la salvezza nella musica, ma niente, il signore si era convinto che fosse vitale per me sapere la conclusione. Oppure ricordo di quando un altro signore si era interessato ai miei appunti sui Dogon, facendomi domande che nemmeno all’esame vero e proprio.
In realtà, credo proprio in questo, dalla chiacchierata più stramba alla semplice osservazione sul tempo, risieda la bellezza della Vesuviana: in un modo dove tutti vanno di fretta, tu puoi ascoltare ed imparare ad ascoltare, e ti accorgi che ognuno di noi ha una storia da raccontare, o meglio muore dalla voglia di raccontare, e che la Vesuviana, per la modica cifra di 1,60€ (Portici-Napoli) ti apre un mondo di stranezze, solitudine ed empatia. Con la Vesuviana viaggi due volte: la prima in mezzo alla gente, la seconda alla ricerca delle straordinare bellezze di Napoli e della sua provincia.
E il nostro viaggio parte proprio qui, dal centro di tutto, dalla fermata.
Spotted ‘Vesuviana – E.P.